Storia di Palazzo del Pero e della Valcerfone  home

Questa breve storia ha lo scopo di far conoscere il nostro territorio e i suoi beni, ambientali, culturali ed artistici con l’ intento della loro conservazione e valorizzazione, ben consapevoli che quello che c’è stato tramandato dai nostri padri non è più solamente proprietà di una comunità o di un territorio, ma patrimonio dell’intera umanità, che noi abbiamo il dovere, oltre che il piacere, di preservare per le future generazioni.

La Circoscrizione di Palazzo del Pero, posta ad est della città di Arezzo, rappresenta, con i suoi 102.5 Km², poco meno di un terzo del territorio aretino. E’ una zona quasi esclusivamente montana e con i suoi 16 abitanti per Km², è anche il luogo meno densamente popolato del nostro comune.

E’ una zona che ha conosciuto un forte spopolamento nel primo dopo-guerra: pensiamo che nel 1951 vi abitavano oltre 5000 persone.

Climaticamente si distingue dal resto del comune per il suo ambiente che è di tipo subalpino per la particolare esposizione della valle, chiusa a sud ed esposta a nord. Di conseguenza anche la vegetazione spontanea risente di questo stato; qua e là nella macchia di querce, cerri e più in alto castagni, nasce spontaneo l’abete. Il leccio, tipica pianta mediterranea, oltre che non nascere spontaneamente, come nel versante della Foce che guarda Castiglion Fiorentino o dello Scopetone verso Arezzo, trova qualche difficoltà anche se impiantata.

Questo stato particolare, unito ad una probabile difficoltà di comunicazione e di scambio, durante i secoli precedenti, avevano sviluppato negli agricoltori locali la capacità di selezionare delle piante particolari che resistevano in questo ambiente singolare. Fino agli anni cinquanta la valle era più famosa per le ciliege che per i funghi. Purtroppo (o per fortuna, chi lo sa?) con l’abbandono del territorio, questa cultura è andata perduta.

La temperatura, nei picchi più alti, è sempre più bassa di 4-5 gradi e se gli inverni sono sempre un pò freddini, ci consoliamo con il fatto che d’estate quel -5 rispetto ad Arezzo procura un gran piacere, specialmente di notte.

I tre centri maggiori erano e sono: Palazzo del Pero; Molin Nuovo o Pieve a Ranco, nel fondo valle; S.Maria alla Rassinata, a quota 750 s.l.m. nell’ estremo sud-est al confine con l’Umbria.

La parte nord-ovest della Circoscrizione confina con la città, mentre a nord confina con Anghiari, a nord-est con Monterchi e Monte S. Maria Tiberina, ad est con Città di Castello, a sud con Cortona ed infine a sud-ovest con Castiglion Fiorentino. Gran parte dei suoi confini sono quindi anche il limes tra Toscana ed Umbria, un tempo tra il Granducato di Toscana e lo Stato Pontificio, con Monte S. Maria Tiberina a fare da cuscinetto e un po' zona franca.

La sua storia si svolge e prende corpo intorno al torrente Cerfone, nome derivante dalla divinità Cerfo-Cerfia, il che fa intuire che il nostro territorio sia stato popolato, in tempi antichissimi, da popolazioni di etnia umbra e che lo Scopetone sia stato lo spartiacque di due culture: etrusca ed umbra.

Fatto sta che le acque del Cerfone, da tempi preistorici fino al secolo scorso, sono state ritenute sacre. Il centro di questo culto, sembra essere stato individuato nei pressi di Monterchi e più precisamente dove ha sede il cimitero e dove, fino a poco tempo fa, si conservava il dipinto della Madonna del Parto di Piero della Francesca.

La presenza romana nel nostro territorio non è molto evidente, anche se sicura. Lo testimoniano i toponimi, i pochi ritrovamenti, una strada di cui si ha notizia, ma di cui non si conosce il tracciato. Sicuramente solcava la valle nei pressi del Cerfone per condurre a Tifernum Tiberinum.

Lungo questa strada, ma soprattutto lungo il Cerfone, vi sorsero, in epoca paleocristiana, V-VI secolo, la Pieve di S. Donnino a Maiano e appena fuori del nostro territorio, la Pieve di S. Antimo.

In epoca alto-medievale sorsero la Pieve di S. Cassiano a Corneta e la Pieve dei SS. Lorentino e Piergentino a Ranco. Dopo la scomparsa dell’organizzazione militare e civile romana, a seguito delle invasioni barbariche, le pievi furono, per lungo tempo, i luoghi dove fu conservato quel poco che restava del diritto romano e furono quindi la culla, o addirittura l’embrione della nascente cultura italica, nel campo religioso, sociale e civile.

Attorno ad esse, in seguito, presero corpo i liberi comuni, poi i paesi ed alcune città.

Nella Val Cerfone, attorno all’anno mille, dalle nostre tre Pievi dette Battesimali, dipendevano tante altre chiese e di conseguenza tante piccole comunità di persone.

Dalla Pieve di S.Donnino dipendevano: San Pietro di Croci, San Angelo di Parnacciano, SS. Silvestro e Crisostomo di Novole, San Biagio di Vignale, Sant'Agata di Laterina, Legari, Monastero di Largnano (Badia Largnano), San Pietro di Cicciano, San Andrea di Castellonchio.

Dalla Pieve di San Cassiano: San Egidio di Usciano, San Bartolomeo di Corneta, Monastero di San Benedetto di Ficarolo (Badia Ficarolo), San Abbondio e Abbondanzio di Croci (Badicroce), San Pietro di Talamone.

Dalla Pieve dei SS. Lorentino e Piergentino a Ranco : San Matteo di Colle, San Martino di Ranco, San Apollinare di Albiano, Santo Stefano di Castiglion Sicco (Castiglioncello), Santa Maria di Cerreto, San Lorenzo di Carpelle, San Giacomo di Bivignano, San Donato di Carciano, Monastero di San Veriano in Aiole (Badia S. Veriano), Santa Felicita di Socena, San Marco di Ranco, S. Maria di Scandolaia, S. Michele di Bagnaia, San Giovanni di Tarsignano.

Santa Maria alla Rassinata ha fatto parte della diocesi di Città di Castello insieme alle chiese di Digliolo e San Biagio.

Il territorio della Val Cerfone, dopo la caduta dell’impero romano, subì l’ influenza della cultura bizantina attraverso l’Esarcato di Ravenna. Le montagne che circondano il "Plano Maiani" sembrano aver potuto costituire una barriera all’avanzata dei Longobardi che premevano da sud-ovest. Lo testimoniano i nomi dei santi titolari delle pievi e delle chiese, tutti o quasi tutti cari ai bizantini. Questa cultura, così radicata nella nostra popolazione, ha lasciato chiare testimonianze nelle pievi e nelle abbazie della Valcerfone.

Nella Pieve di S. Donnino, anche nella ricostruzione delle absidi del XI secolo, si possono notare queste influenze nelle decorazioni in cotto della parte esterna dell’abside centrale. Così come fa riferimento all’arte orientale, la particolare forma dell’abside dell’abbazia di Badia Ficarolo, rotonda all’interno e pentagonale all’esterno. Altrettanto rilevante è il campanile della chiesa di Badia S. Veriano, anche questo di chiaro stile orientale ( siriano o egiziano) giuntoci attraverso Ravenna.

La storia di questi secoli non è scritta, si rileva solo attraverso la lettura dei pochi resti o attraverso la toponomastica. Per tutto ciò dobbiamo ringraziare soprattutto il compianto Monsignor Angelo Tafi, che ha vissuto a lungo nel nostro territorio, studiandolo e amandolo, tanto da scrivere in un suo libro:" .... sono nato in Valdarno....... ho vissuto a pochi chilometri dall’ Arno..... ho studiato a Roma a cento metri dal Tevere...... ho passeggiato durante la mia vita lungo il Po, il Tigri, l’Eufrate, ma nessun corso d’ acqua mi è caro come il Cerfone......."

Molte di queste chiese sono ancora dotate delle loro antichissime campane. La più vecchia,datata 1349 è di Nerio d’ Arezzo ed è situata nel campanile della Pieve di Ranco; quella più famosa, perchè fatta da Ristoro d’ Arezzo, si trova a Badia S. Veriano, data 1352. Molto antiche sono anche le due che rintoccano sul campanile di S. Donnino, una di Girolamo da Cortona è datata 1450; in tutto sono nove le campane che fanno ancora sentire il loro suono nella valle del Cerfone.

Qualche turista sale fino a Badia S. Veriano solo per sentire il particolare suono della campana di Ristoro d’ Arezzo.

Le pievi, che nell’ alto medioevo hanno svolto un ruolo molto importante di centri culturali di custodia dell’ ormai lontana civiltà romana, entrano in crisi dopo il mille; l’attività sociale, politica e culturale si svolge attorno al castello: eravamo all’ alba della civiltà dei comuni.

Anche nella nostra valle, nei secoli XI-XIII, si contano una miriade di castelli; sono ben 21: Ranconica, Castellonchio, Corneta, Croci, Largnano, Lusignano, Sasseto, Castello, Carpelle, Colle, Bivignano, Ranco, Castiglioncello, Vignale, Carciano, Galloro, Montagutello e altri. Di molti di questi non esiste più nessuna traccia, del castello di Sasseto è molto incerta anche l’ ubicazione, solo i castelli di Ranco e Bivignano hanno lasciato delle rovine imponenti. Il castello di Corneta, di cui rimangono un mucchio di rovine, era posto a guardia dell’ accesso da sud della valle del Cerfone. Da lassù, a quota 743 m s.l.m., si può godere di una vista stupenda su gran parte della Val di Chiana, dal lago Trasimeno fino ad Arezzo. A proposito di vedute stupende, altrettanto bello, se non di più, è il panorama che si può osservare da Badia S. Veriano.

Nei pomeriggi, quando l’ aria è tersa, lo sguardo può spaziare da ovest sulle pendici della Verna e Caprese Michelangelo, a nord-est si possono vedere Anghiari, San Sepolcro, San Giustino e Colle Plinio, molto vicini Monterchi e Citerna, più lontano Città di Castello ed a sud, in cima al caratteristico cono, Monte Santa Maria Tiberina.

Tornando ai castelli, un cenno particolare va fatto su Bivignano.

Facciamo parlare di nuovo Don Tafi: ".... non conosco località del territorio comunale aretino più affascinante di questa..." . Infatti la posizione è forte e bella, ispira una sensazione di grande potenza, il panorama è grandioso, l’ aspetto è suggestivo. Le mura del castello racchiudono l’ antico borgo medioevale, qua e là si scorgono porte e archi, monofore in stile gotico, muraglioni imponenti con l’ antico fossato. E’ facile farsi prendere dalla suggestione del luogo e tornare indietro con la fantasia, fino all’ anno mille, quando presumibilmente nasce la contea.

La famiglia Adobrandini, di origine longobarda, domina la zona; partendo dall’ antico maniero di Bivignano, cerca di espandersi a danno dei possessi ecclesiastici. I conti di Bivignano si scontrano, inevitabilmente, con la potente famiglia aretina dei Tarlati e sono costretti ad abbandonare il possesso avito nell’ anno 1388. Trasferitisi in Arezzo, tentano l’ inserimento nella classe dirigente cittadina con alterne fortune. In città godono d’un rango elevato, tanto da far parte della classe dirigente, fino a ricoprire con Aldobrandino di Andrea, la carica di gonfaloniere di giustizia, ma non elevatissimo al livello dei Bacci o degli Albergotti. Gerarchia ecclesiastica, ma soprattutto carriera militare, tradizionali sfoghi della nobiltà minore, sono le occupazioni preferite dai Bivignano e a causa di ciò, finalmente nel 1529 un Aldobrandini avrà un ruolo fondamentale nelle vicende aretine.

L’ esercito ispano-pontificio, condotto da Filiberto d’Orange, risale la penisola alla conquista di Firenze. Di quest’esercito fa parte Francesco dei conti di Bivignano, detto il Conte Rosso. Arezzo è in mano ai Medici, che all’avanzare dell’esercito spagnolo l’ abbandonano precipitosamente. Filiberto di Chalon, allora, affida la guida della città al Conte Rosso. L’ Aldobrandini strappa a Firenze le terre della Val Tiberina. Per mesi Francesco ha in mano, con pieni poteri, i destini della città di Arezzo, ma al primo capovolgimento, con la sorte che si schiera dalla parte dei Medici, viene catturato, trasportato in Firenze, e giustiziato con l’ accusa di aver dato fiato alla rivolta aretina. Poi la situazione economica dei Conti peggiora nel corso del’500,’600 e nel ‘700 la famiglia si estingue definitivamente.

Anche il castello di Ranco, nel corso dei secoli, ha avuto notevole importanza. Leonardo lo disegnò come punto di riferimento nella sua carta della Val di Chiana. Il suo aspetto attuale, anche se ridotto a poche muraglie, è molto suggestivo.

Prima di chiudere con la "piccola storia", è bene dare uno sguardo alla Pieve di San Donnino a Maiano. Documentata dal 1060, gli studiosi ritengono di far risalire la sua fondazione all’epoca della prima evangelizzazione cristiana, cioè al V-VI secolo. Purtroppo di quel periodo nulla resta alla vista attuale. Le absidi , che risalgono al XI secolo, sono visibili parzialmente dall’interno della canonica. Portano delle particolari decorazioni in laterizio, che si ritrovano, ma in maniera molto meno ricca, in Santa Croce ad Arezzo ed alla Chiassa. L’ interno non conserva cose di grandissimo pregio artistico, ma la parte absidale è tutta affrescata da vari artisti di estrazione popolare. Di maggior pregio è l’affresco della Madonna del Latte, che si rifà all’antica tradizione galattofora di questa valle (Madonna del Latte, Madonna del Parto), eseguito sull’altare di destra da un artista di scuola spinelliana. Peccato che sia andato perduto un San Rocco che il Vasari stesso dice di aver dipinto nel novembre del 1527 in San Donnino, contemporaneamente ad altri lavori eseguiti a Galloro e nella Maestà dell’Intoppo.

Di artista anonimo è anche la bella statua lignea, trecentesca, posta su un piedistallo recentemente rifatto con una bella mensa d’altare recuperata dalla chiesa del diruto monastero di Badia Largnano.

Ancora più antica ed artisticamente più interessante è la bella statua di legno della Madonna posta nella Pieve di Ranco

Da visitare sono le cripte, di uguale fattura, delle badie di San Veriano e Croci (Badicroce, proprietario permettendo) e l’affresco di San Bernardino dipinto nella Badia di Croci da Lorentino d’Andrea allievo di Piero della Francesca e suo aiutante nel grandioso lavoro della Leggenda della Vera Croce in San Francesco ad Arezzo.

Palazzo del Pero.18.01.2004

angelflav@virgilio.it

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